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i Fiammiferi - S05E01 - Go Dante Go Go Go Go Dante Go Go Go
Jersey Vice: puntata “pilota” il 25 novembre Alessio Giorgetta
C’è voluto un fine settimana intero per riprendersi dallo splendido live dei Deerhunter ed Orville Peck al TPO di Bologna dello scorso 14 Novembre. E si che le aspettative erano altissime, così alte da convincerci ad affrontare la pioggia incessante e i primi freddi, un’A1 che sembrava infinita in un mediocre Giovedì novembrino. Curiosità per quel queer cowboy mascherato di Orville Peck che col suo album “Pony”, uscito per Sub Pop, sta rompendo tutti gli schemi di una fortissima tradizione Country americana. Attesa per rivedere quei Deerhunter che ormai possiamo considerare tra le più importanti band dei nostri tempi. L’accoppiata perfetta, sulla carta. Un live imperdibile. Attesa spasmodica ed adrenalina a mille tanto da farti dimenticare che il giorno dopo dovrai affrontare una lunghissima giornata lavorativa con pochissime ore di sonno.
Il TPO inizia a riempirsi molto presto: Orville Peck è piuttosto puntuale ed alle 21,30 si presenta sul palco con tutta la band. Sono bellissimi nelle loro tipiche tenute rodeo, Orville con la sua immancabile maschera “Lone Ranger”. Il live è estremamente coinvolgente, a tratti estraniante: il country sta “tornando” prepotente anche in ambiti non-tradizionalisti americani e, di sicuro, Orville Peck è l’alfiere di questa rinascita e sperimentazione che porta a contaminare la tradizione con sonorità più elettriche, a tratti shoegaze, in cui i testi che parlano di tematiche non proprio tipiche della cultura folkloristica americana (amori gender fluid, sogni spezzati e speranze) sono il vero punto di forza e rottura.
Una maschera a celare il volto ma un animo sensibile messo a nudo su un palco tenuto magistralmente. I pezzi del bellissimo album di debutto “Pony” si alternano rapidi e, senza rendercene conto, il primo live è già finito.
Un rapido cambio palco, qualche check ed arriva il turno dei Deerhunter. Se per Orville Peck possiamo parlare di novità, per la band di Atlanta guidata dall’istrionica figura di Bradford Cox, siamo alla conferma: giunti ormai all’ottavo album e ad una carriera ormai ventennale, l’ultimo disco “Why han’t everything already disappeared?” uscito ad inizio anno su 4AD ci pone davanti alla scomparsa della critica emotiva e irrazionale in favore di canoni sempre più dettati da logiche artificiali e digitali. Non potrebbe essere diversamente, del resto, per una band che affonda le proprie radici in sonorità quasi-punk, sicuramente analogiche ed emotività spinta al primo posto. Non potrebbe essere diversamente per una band in cui vi è Bradford Cox, un personaggio ormai mitico per la capacità di trasmettere la propria sensibilità al pubblico.
Bradford è una calamita per gli occhi e le orecchie: la sua figura longilinea, gli occhialoni e i cappelli; la sua voce naturalmente portata al lo-fi e le chitarre dream-psichedeliche alternano brani nuovi e vecchi a intermezzi e intro esageratamente psych. L’inizio con una splendida “Death in Midsummer” dal nuovo disco, totalmente ripensata nei ritmi, ci fa capire subito che il concerto sarà emozionante e divertente, non scontato. Pezzi dell’ultimo album, dicevamo, (No One’s Sleeping, What Happens to People? Futurism) si alternano a veri e propri classici (Helicopter, Revival, Desire Lines, Coronado) catalizzando totalmente l’attenzione del pubblico. È un live caldissimo e familiare quello che si sta consumando al TPO. Classico “encore” ed il finale epico con Cover Me (Slowly) – Agoraphobia – He Would Have Laughed esalatano letteralmente tutti i presenti e danno la degna chiusura ad una dei live sicuramente tra i più belli dell’anno.
Ripercorriamo la nebbiosa e umida A1 con la consapevolezza di aver visto due geni dei nostri tempi, due artisti totali e totalmente controcorrente che sono capaci di farci emozionare senza tanti compromessi.
Francesco Marinelli
Written by: Francesco Marinelli
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